Persistono i problemi dell'amianto a Siracusa, in Italia, nel mondo





Cosa unisce una piccola cittadina piemontese di 35.000 abitanti con una nella regione del Goias in Brasile o una in India?

Casale Monferrato, prima città in Italia ad aver bandito la lavorazione dell’amianto nel 1986 (sei anni prima che una legge nazionale la proibisse su tutto il territorio italiano), ha pagato, sta pagando e pagherà un tributo pesantissimo al materiale lavorato e prodotto dalla multinazionale Eternit che aprì il proprio stabilimento nel 1906: ad oggi sono 1.600 i morti e 400 gli ammalati, buona parte di essi sono cittadini che mai hanno lavorato il minerale killer.

Nel resto del mondo, invece, la mattanza continua: negli ultimi 30 anni in Cina la produzione dei manufatti d’amianto è triplicata, in Brasile è più che raddoppiata, con tutto quello che comporta in termini di salute per i lavoratori e di chi, l’amianto, lo utilizza per le proprie abitazioni.

Cosa si può fare per fermare ciò che abbiamo mandato via da noi ma che la globalizzazione ha spostato nei Paesi in via di sviluppo?

A 80 km da Casale Monferrato, presso il Tribunale di Torino, da un anno e mezzo a questa parte si sta svolgendo l’unico tentativo, a livello mondiale, di trovare i responsabili internazionali della catastrofe globale dell’amianto.

Gli imputati sono i massimi dirigenti della multinazionale svizzero-belga che tra gli anni ’60 e ’80, per i reati di “disastro ambientale permanente e omissione delle norme di sicurezza”.

Ci ritroviamo a Genova il 2 luglio per parlare delle battaglie partite da Casale, della “multinazionale delle vittime” che nasce dall’incontro fra l’Associazione Famigliari Vittime Amianto di Casale con quelle francesi, belghe, svizzere, inglesi, spagnole, statunitensi e brasiliane, del Processo internazionale, dei lavoratori sfruttati per il profitto di ieri e di oggi e, soprattutto, della nostra Storia.




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