Proficua collaborazione della soprintendenza del mare con la GUE
Ricognizioni
archeologiche subacquee in alto fondale Pantelleria - Eolie
Altofondalisti recuperano anfore sul relitto Panarea II |
In
questo mese di settembre 2014 e’ stata avviata una campagna di ricognizioni
archeologiche in alto fondale nelle
acque di Pantelleria, Lipari e Panarea, coordinata per la Soprintendenza del Mare da Sebastiano Tusa
e Roberto La Rocca con l’ausilio di Salvo Emma, grazie alla concreta collaborazione della Global Underwater Explorers (GUE) nell’ambito del suo progetto
“Project Baseline” coordinato dal presidente della GUE Jarrod Jablonski, supportati da Francesco
Spaggiari e Mario Arena, con la partecipazione di sponsor tra i quali la
Brownie’s Global Logistics (BGL) e il suo presidente Robert Carmichael. Fattiva
la collaborazione delle Capitanerie di Porto di Pantelleria e Lipari.Le ricognizioni
sui siti indicati dalla Soprintendenza del Mare sono state effettuate con
l’impiego dei subacquei alto-fondalisti e due sommergibili “Triton submersibles”
, biposto dotati di
braccio meccanico e attrezzature di documentazione video-fotografiche. La nave
di 50 metri “Pacific Provider”
con le
più recenti tecnologie per le immersioni tecniche subacquee e dotata di una camera iperbarica, ha supportato
le operazioni di ricognizione. A Pantelleria
le ricognizioni subacquee hanno interessato i fondali di Cala Levante, Cala Tramontana e Cala Gadir fino a profondità di oltre 100 metri individuando presenza di anfore di varia tipologia (greco-italiche
e puniche).A Lipari e Panarea si è concentrata maggiormente
l’attività sui siti subacquei di Capistello e dei relitti Panarea II e Panarea III.
Sommergibile biposto Triton |
Pacific Provider |
Relitto Panarea III |
A
Capistello l’esplorazione ha riguardato l’area del ben noto relitto già sondato
in passato il cui carico è stato recuperato a più riprese oltre ad essere stato
purtroppo anche saccheggiato. Parte del carico è scivolato più in profondità e
sono numerosi i ceppi d’ancora in
piombo (alcuni con le contromarre
presenti). La
presenza di un numero consistente di ancore
conferma la
caratteristica del sito come luogo di sosta ed ancoraggio lungo le rotte
antiche che interessavano l’arcipelago eoliano.L’esplorazione
approfondita delle aree circostanti il relitto, hanno evidenziato una porzione
lignea della chiglia ancora ben conservata, mentre a circa 120 metri di
profondità c’era la base ed il fusto scanalato di unthymiaterion
in
terracotta di cui manca apparentemente il bacino superiore.
Il thymiaterion |
Nella
medesima zona, a 80 metri, trovate due anfore già imbracate insieme con una
cima legata ad un pallone di sollevamento che dovette collassare impedendo il loro
trafugamento.
L’attività
più di successo si è avuta sul relitto di Panarea
III, già identificato nel 2010 in seguito ad una campagna di rilevamenti a
mezzo side scan sonar con la collaborazione della Fondazione Aurora Trust. Si è
effettuata la fotogrammetria in 3D dell’intero carico anforaceo ed una accurata
documentazione video fotografica ad alta definizione. Analizzando con
sistematicità il carico per mezzo del batiscafo e tramite le ricognizioni dei
subacquei altofondalisti si sono raccolti interessanti dati. In particolare la
maggior parte delle anfore
sono del tipo
greco-italico, ma una consistente parte era anche costituita da anfore puniche posizionate su una
estremità del carico che ipotizziamo essere la parte prodiera. Si è constatata
la presenza di una macina (catillo),
di alcuni vasi cilindrici del tipo sombrero
de copa (alcuni impilati uno dentro l’altro), alcuni piatti cosiddetti da
pesce, altri piccoli piattelli e ciotole
e un thymiaterion intero rotto in due parti con la base modanata
recante un’iscrizione in greco. Il resto dell’oggetto è costituito da una bassa
colonna cilindrica liscia e da un bacino di grandi dimensioni.
La
giacitura del carico porta ad ipotizzare una dinamica di affondamento che portò
la nave a coricarsi sul suo lato sinistro. Ciò è desumibile dalla posizione
delle anfore e dalla presenza degli oggetti di bordo (piatti, macina, thymiaterion,
etc.), che dovevano trovarsi in stiva e sulla prua, ribaltati e quasi
scaraventati fuori dall’areale di dispersione del carico.
Su indicazione dei
tecnici della Soprintendenza del Mare i subacquei altofondalisti della GUE
hanno prelevato alcune anfore (un esemplare di ogni tipologia riscontrata nel
carico), il thymiaterion, alcuni
piatti e piattelli, una brocca, un’olla e due vasi del tipo sombrero de copa. Particolarmente interessante si è rivelato
il thymiaterion recuperato poiché
integro con decorazione in rilievo sul bordo del bacino costituita da onde
marine stilizzate.
La
missione è stata un successo aggiungendo una documentazione preziosa per lo
studio e la tutela dei relitti summenzionati, recuperando oggetti di pregio che
arricchiranno la collezione archeologica subacquea del museo archeologico
eoliano L.Bernabò
Brea
di Lipari, sia per la dotazione di materiale documentario di grande efficacia
visiva e didattica , utilissima per le attività strategiche della
Soprintendenza del Mare: diffusione
della cultura e del rispetto del patrimonio culturale marino e delle immense
valenze storico-culturali del mare siciliano nel mondo.
Tale
aspetto è stato sottolineato dall’assessore dei Beni culturali e l’Identità
siciliana Furnari.
Dati
i risultati estremamente soddisfacenti il soprintendente del Mare Sebastiano
Tusa e il presidente della GUE Jarrod Jablonski hanno deciso di proseguire la
fruttuosa collaborazione anche il prossimo anno nel quadro di una convenzione
stipulata sotto l’egida dell’assessorato dei beni culturali e l’identità
siciliana della Regione Siciliana.
“Essere
riuscito a raggiungere un relitto di una nave naufragata 2000 anni fa che si
trova nel buio e nel silenzio di 130 metri di profondità -ha dichiarato Sebastiano
Tusa, Soprintendente del Mare- mi dato un’emozione indescrivibile. Avere la
possibilità, grazie al batiscafo messo a disposizione dalla GUE, di adagiarmi
dolcemente sulla distesa di anfore ed osservarle una ad una per oltre tre ore,
di “toccarle” con il braccio antropomorfo, è stata una delle esperienze più
interessanti della mia vita che mi ha fatto capire quanto la tecnologia possa aiutare la scienza. Il risultato più eclatante
è stata la scoperta di un reperto eccezionale: un altare in terracotta su
colonnina con decorazione in rilievo ad onde marine. Avevo letto che a bordo si
sacrificava agli dei dopo aver superato un passaggio difficile, prima di
salpare o prima di arrivare al fine di trovare genti non ostili. Mai avevo,
però, scoperto un vero e proprio altare intuendone la diversità in mezzo a
centinaia di anfore.”
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